Ereditato dai giochi bambini delle generazioni precedenti, il gioco delle biglie aveva negli anni ’60 un grandissimo successo ed un’ampia diffusione e praticata.
Ovunque c’era spianata fatta di terra e di sassolini, negli oratori non asfaltati, sui marciapiedi delle stradine secondarie, nei cortiletti e orti, ovunque, giocavamo a biglie. Le biglie erano delle sfere di vetro (la maggior parte), di marmo (bellissime!) e a volte anche di ferro (non omologate, spaccavano le altre di vetro!).
Giocare a biglie ci piaceva perché era un gioco fondamentalmente di abilità tecnica (bisognava avere mira, avere una bella mano’, saper dosare la forza, eccetera), ma con un grande contenuto di relazione, di interazione, di psicologia che si esprimevano attraverso l’enunciazione di regole prima e durante il gioco volte a aumentare le difficoltà dell’avversario.
Naturalmente l’obiettivo era sconfiggere il o gli avversari e prendersi le loro biglie. Nella sostanza, si trascorrevano bei pomeriggi vincendo cospicue quantità di biglie – in tutte le loro qualità, più o meno pregiate – o brutti momenti di perdita e di depauperazione del proprio patrimonio di biglie. Inoltre, esistevano ancora numerosi spazi urbani non asfaltati che costituivano il luogo adatto per giocare a biglie.
I giochi erano diversi da città a città, da regione a regione, ma anche da quartiere a quartiere, così come le regole e le parole adatte a definire le condizioni del gioco. E’ quindi impossibile riassumere in modo unitario la nostra esperienza giovanile con le biglie.
Per una approfondimento sul tema delle biglie e dei giochi fatti con le biglie, specie nella città di Brescia, e per un dizionario delle regole e delle parole di gioco (tutte in dialetto bresciano, come: bù alse; bù spasse; bù de canaleta; e il capolavoro ‘bu tòt per me, bu nient per te’, tutto buono per me niente buono per te) è tutto spiegato nel libretto ‘Cile Mire’ di Franco Zanetti.