Il gatto Arturo era all’interno del programma ‘Il Ghirigoro‘ ed era un personaggio muto, che si esprimeva attraverso la mimica delle braccia e delle mani. In pratica la vicenda era questa: una ragazza va ad abitare in una casa con un gatto (Arturo, per l’appunto). Le vicende, per bambini di età prescolare, si sviluppavano sia nella casa che in esterni.
Mi ha scritto un lettore sul gatto Arturo una bella memoria “La Svizzera è una nazione lounge per eccellenza. Le sponde luganesi, gli immacolati declivi prealpini, il dialetto ticinese, il calciatore Ciriaco Sforza, il corno montano, il set cinematografico di Pane & cioccolata: tutto questo configura una prepotente alternativa europea al delirio lounge di Las Vegas. Però la Svizzera ha qualcosa in più di Las Vegas: il Gatto Arturo.
Il Gatto Arturo è un personaggio televisivo con cui la Svizzera Italiana tentò una colonizzazione spirituale del nostro Paese a partire dal 1972. Si tratta di un gattone muto, che si esprime con una mimica elastica e morbidissima, a cui la televisione elvetica fece condurre ampie zone del suo palinsesto. Vestito in lunga vestaglia multicolore a strisce orizzontali, la coda orrendamente lunga e nervosa che spunta dalla veste, le mani orripilanti guantate di bianco, Arturo non parlava mai e non parla tuttora, visto che, come apprendiamo con giustificata inquietudine, il Gatto Arturo a tutt’oggi dòmina lo spazio che gli svizzeri radiotelevisivi dedicano agli impuberi.
Fredi Schafroth, impronunciabile insegnante di Chiasso, si nascondeva sotto le spoglie allucinanti di questo lisergico felino dalle dimensioni abnormi, sbracciandosi e percorrendo a grandi passi lo studio, gemellarmente vuoto, oppure percorrendo in bicicletta i più sterili cantoni della Confederazione. Il Gatto Arturo, come detto, non ha mai pronunciato una parola: si esprime a gesti, ma i suoi interlocutori capiscono perfettamente cosa vuole dire lo sproporzionato pupazzo semivivente. Mercé una simile capacità misteriosamente dialettica, il Gatto Arturo si è sempre posto in funzione pedagogica ai suoi atterriti spettatori, toccando praticamente ogni àmbito dell’attività produttiva umana: ha interagito con cuochi, pagliacci, floricoltori, macellai, autisti pubblici, arrotini, giornalai.
Chiunque gli ha risposto a tono: questo abisso tenebroso, inspiegabile alle menti più raffinate, altro non ha fatto che aumentare l’effetto di parossistico e muto terrore di intere giovani generazioni italiane. Va detto che le giovani generazioni italiane non hanno dovuto sottoporsi alla terapia di controllo mentale a cui l’insegnante Fredi Schafroth di Chiasso le avrebbe volentieri sottoposte: l’insegnante Fredi Schafroth di Chiasso ha infatti creato, oltre all’ipnotico Gatto Arturo, anche quali la maialina Cicci, l’alce Elky, il robot Tina e il cane Peo.
Se inscriviamo il Gatto Arturo nella costellazione del Lounge universale, tuttavia, è perché si tratta di un’icona silenziosa, sorprendente, inutile, priva di qualunque trama narrativa, messianica in quanto sospende il tempo in un istante di bianco orrore, come se fosse appena uscito da un film di animal sex girato da David Lynch. Arturo il Gatto potrebbe rinascere, letterariamente e con estrema disinvoltura, in un racconto di Stephen King o Clive Barker.”