II fusi furono una grande passione della mia infanzia. Eravamo due grandi bande, una della mia via una della via più su, e c’era una grande guerra in corso tra di noi. Fu una guerra lunga e feroce e la combattemmo a colpi di fusi.
Le prime armi usavano proiettili di carta che venivano rinforzati in caso di battaglia con lo scotch in punta per resistere meglio durante le battaglie. I fusi si preparavano prima della guerriglia e se si usava la saliva, dopo pochi minuti, con il sole, si aprivano e ti intasavano la “cannetta” o “cerebottana”.
Dopo un po’ di battaglie ci rendemmo conto che non bastava avere un solo colpo in canna; nacquero così le cannette doppie, triple, multiple circolari, con mirini, maniglie fatte con le mollette, portafusi di riserva. Il tutto avvolto da coloratissime strisce di scotch in elaborati ghirigori.
Ad alcuni ‘irregolari’ la crudeltà prese la mano e i loro fusi erano fatti di normale carta di riviste patinate (Grand Hotel, Gioia, Stop, eccetera), ma con la punta impreziosita da stuzzicadenti, spilli, fili di ferro, pietruzze. Oppure avevano fusi di carta velina e di carta oleata.
Con il passare degli anni abbiamo adottato delle armi a lunga gittata: le fionde.
Disponevamo di un arsenale di modelli con struttura in legno (il nocciolo era il migliore materiale) e struttura in ferro.
Gli elastici li prendevamo dalle vecchie camere d’aria delle bici da corsa (i meccanici ci conoscevano molto bene perchè facevamo incetta delle camere d’aria rosse che garantivano una elasticità maggiore rispetto ai modelli neri). Il bello dei proiettili di pongo (o stucco da vetraio che costava meno e garantiva lo stesso effetto) era che non distruggeva i vetri ma ti permetteva di fare comunque a gara a chi mirava meglio le finestre o i lampioni).
Già allora, anche se lo spirito era quello dei “vandali di strada”, evitavamo di fare un certo tipo di danni.
Mi dicono che a
Firenze il gioco delle cerbottane conosceva una periodicità precisa: cominciava in piena estate e finiva attorno al primo d’ottobre, con la festa della rificolona (all’inizio di settembre) che ne rappresentava il momento clou.
Per la festa della rificolona, antichissima, c’è ancora l’uso che i bambini vadano per le strade la sera cantando (“Ona ona ona / ma che bella rificolona…) con lanterne di carta velina coloratissime, contenenti una candelina accesa.
Di solito, la Confesercenti o chi per essa pensa a un minimo di animazione per le strade affollate di negozi. Pare che l’uso sia nato, ben addietro nei secoli, per dileggiare le contadine che venivano a Firenze in occasione di non so più quale festa religiosa, e che trascorrevano la notte che precedeva le funzioni assiepate attorno a lanterne di quel genere. Per traslato, ancora oggi c’è chi dà della “rificolona” a qualunque donna in là con gli anni e parecchio sovrappeso, che intenda riscattarsi in qualche modo coprendosi di trucco ed orpelli tanto vistosi quanto cari.
Cosa c’entra tutto questo con le cerbottane? C’entra, perché a Firenze si usavano canne d’ottone per lampadario, oppure quelle sbarre di plastica che si mettono nelle gabbie dei canarini. Si incollavano al taglio di assi ben diritte utilizzando nastri adesivi colorati. La parte piatta dell’asse, invece, ospitava il materiale di lancio: stucco da vetraio dall’odore e colore inconfondibili.
Qualcuno, più dovizioso e maligno, usava il Pongo, un tipo di plastilina durissimo che dove colpiva lasciava il segno per un giorno o due … Naturalmente, c’era anche a Firenze la moda di inasprire i conflitti con aghi o spilli ben piazzati.
La sera della festa, torme di commandos si aggiravano per i quartieri, sparando senza pietà a qualunque cosa si muovesse, anche se i bersagli d’elezione erano proprio le rificolone. Il massimo era riuscire ad incendiarne qualcuna, di solito tenuta in mano da un bambino piccolissimo e disperato.
I genitori, ad un certo punto, si fecero furbi: si videro allora rificolone di dura plastica trasparente praticamente inattaccabile, o modelli funzionanti a batteria. Purtroppo gli ultimi dieci anni sono stati esiziali con le cerbottane e con i giochi di strada in genere; la diffusione maniacale e idiota dei “doposcuola” acciocché i bambini siano sempre guardati a vista peggio che in galera, l’onnipresenza della pleistescion, l’ossessiva e ridicola paura dei pedofili unita al calo demografico hanno spazzato via i bambini dai cortili e dalle piazze.
Fine degli infuocati tornei di Subbuteo, addio pesca nel torrente sotto casa (certe carpe grosse così!), morte delle esplorazioni quotidiane in bicicletta lunghe chilometri su e giù per colline raminghe e solatìe. E addio, appunto, a cerbottane e ad armi giocattolo, top della diseducatività secondo la castrata pedagogia contemporanea.
elefanteparlante
mi ricordo di un’estate, probabilmente nei primissimi anni 70, in cui la febbre della cerbottana colpi’ Treviso, dove abitavo. Le cerbottane erano o un tubo di plastica zigrinata, solitamente usato per fare i trespoli nelle gabbie dei canarini o, per i piu’ “ricchi”, un tubo di alluminio recuperato dal ferramenta. Il materiale presecelto per i proiettili era lo stucco da vertrai; se ne prendevano un paio di etti e li si compattavano a mo’ di palla intorno alla parte centrale della cerbottano in modo da avere un “serbatoio” di materia prima da cui staccare piccoli proiettili da sparare. I proiettili di stucco non solo facevano malissimo se sparati da qualcuno con buoni polmoni ma avevano il “pregio” di penetrare a fondo tra le fibre dei vestiti creando delle macchie indelebili per la gioia delle mamme (che penso a causa di cio’ decretarono ben presto un embargo efficacissimo su tutte le cerbottane del quartiere).